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Il prodigioso
Intervista
di Alessandro Taverna con Raimondi
nella rivista
Lyrica n.43 anno IV, luglio 1997
Raimondi ama i
personaggi dai forti sentimenti e le sue interpretazioni di quelli verdiani
sono ormai storia: Attila, Fiesco, Filippo II, Jago e prossimamente anche
Falstaff con Abbado. Da tempo accarezza un progetto, fare la regia della
trilogia Mozart-Da Ponte. Lo incontriamo dopo che ha cantato Jago con
Abbado e i Berliner Philharmoniker a Torino in un Otello che arrivava
direttamente da Salisburgo. Ci annuncia il prossimo debutto a Berlino
nel Falstaff sempre con Abbado.
Intanto gli chiediamo di parlarci di Attila, opera consegnata al disco
nei primi anni Settanta.
Per Ruggero Raimondi il destino si chiama Verdi, a dispetto del film di
Losey, che ha reso popolare il basso bolognese come nuova incarnazione
di Don Giovanni.
"Ho sempre amato
nell'Attila quel recitativo cantato, subito dopo l'aria, quando arriva
il Papa a contrastare la marcia del condottiero barbaro. Ci sono molte
pagine di alto valore drammatico in quest'opera che pure porta i segni
del primo Verdi. La psicologia di Attila poi mi ha sempre interessato,
forse perché rientra nel carattere di tanti altri personaggi verdiani.
Prendiamo Filippo II nel Don Carlo: non è una personalità elaborata? Esprime
il bisogno del potere assoluto e tuttavia la necessità di fidarsi in qualcuno.
La vocalità del Nabucco è già estrema: non si riesce a capire se è un
baritono con i gravi o un basso con gli acuti. Mentre già in Don Carlo
ci imbattiamo nella voce del basso cantabile e in quella del basso drammatico.
Nel caso di Attila c'è invece una certa uguaglianza di colore. Per questo
Pinza ha registrato anche la parte di Ezio, per spiegare meglio che il
basso con gli acuti poteva benissimo arrivarci, magari senza fare il si
bemolle che faceva Cappuccilli...".
A tante figure verdiane, lei ha voluto aggiungere Jago. Cosa rappresenta
questo personaggio?
"A
Jago la natura ha dato un'intelligenza superiore. Però il mondo lo ha
reso una specie di diverso. Non è un nobile come Cassio, non è fortunato
e potente come Otello. Forse ama Desdemona. Lo anima una forma di frustrazione,
di invidia e di gelosia, un magma di sentimenti diversi che lo portano
a creare questo intrigo diabolico approfittando dell'indole degli altri
personaggi. E tutto questo per arrivare ad avere il potere".
Cosa si prova
a cantare con un'orchestra come i Berliner in buca?
"Si ha l'impressione
di essere a bordo di una Ferrari che fa i trecentocinquanta all'ora. Ma
è un bolide che passa dai trenta ai trecentocinquanta senza che tu te
ne accorga".
Cosa fa quando
sì accosta ad un nuovo personaggio?
"Bisogna sempre fare
riferimento al testo dell'opera. Sono importanti le fonti: Shakespeare
o Schiller, perché offrono altre possibilità d'indagine. Ma si deve fare
sempre e soltanto riferimento alla partitura quando si canta".
Quando ha capito
che nella vita avrebbe fatto il cantante d'opera?
"Dovrei tornare indietro
nel tempo, agli anni della mia infanzia. Una serata particolare c'è stata.
Forse in quell'occasione ho pensato che mi sarebbe piaciuto un giorno
essere io a provocare ciò che stavo provando. Era l'impressione del singolare
connubio fra la musica, il canto, la recitazione. Mi rammento benissimo
che era il Werther di Massenet, al Teatro Comunale di Bologna. Comunque
nella mia famiglia il campione era e restava Verdi. Allora Mozart non
era contemplato e neppure Rossini che avrei incontrato tanto di frequente
nel corso della carriera."
Cosa ne pensa
delle registrazioni discografiche?
" Preferisco
le registrazioni live. Mi diventa sempre più difficile entrare in una
sala di registrazione. È la ricerca della perfezione che fa perdere tante
emozioni. Si diventa freddi. La perfezione non è umana, i sentimenti sì.
Per questo tante volte preferisco rifarmi alle vecchie registrazioni.
Non saranno perfette sul piano tecnico, ma quanto hanno ancora da dirci!"
Qual è il cantante
che per lei ha rappresentato un modello da imitare?
"È il basso russo
Fjodor Chaliapine, anche se credo che resti inimitabile. Da giovanissimo
ascoltavo la registrazione del suo Boris e rimasi estrefatto dalla quantità
di colori che Chaliapine riusciva a trarre da pochissime frasi. Da allora
ho cercato tutte le sue interpretazioni per studiarle molto attentamente.
Ero meno convinto delle sue prove nel repertorio italiano. Considero Chaliapine
molto più che un interprete. È stato un genio, come dimostrano a sufficienza
i documenti che ci restano della sua arte. Dischi, ma anche film: ad esempio
il Don Quichotte di Pabst. Per il regista Stanislavski era semplicemente
un mistero la sua straordinaria presenza scenica. Chialiapine l'inafferrabile!
Ho solo il grande rammarico di non averlo potuto ascoltare dal vivo".
E proprio Chaliapine
tenne a battesimo un'opera che è diventata un suo cavallo di battaglia...
"Don Quichotte di
Massenet? E pensare che a considerarla superficialmente sembrerebbe una
partitura addirittura banale. Ma quando la si studia meglio, ecco che
rivela tantissime possibilità d'interpretazione. Don Quichotte è un'opera
sul tempo che passa, su un mondo al crepuscolo, sulla forza dell'amore
e dell'utopia. Con Faggioni abbiamo realizzato uno spettacolo che amo
molto e che ho portato in questi anni in giro tra Venezia, Parigi, Firenze,
Barcellona. Napoli e Roma".
C'è chi guarda
a Massenet come ad un musicista un po' attardato. Immagino che lei non
sarà d'accordo....
"Massenet portava
i suoi allievi alla Comédie Française per far capire come si doveva musicare
una frase. Massenet era un uomo già proiettato nel futuro. In certe opere
storiche o fantastiche sembra aver colto in anticipo le risorse del cinema".
In tanti anni
di carriera ci sarà qualche spettacolo che ricorda con più affetto e gratitudine...
"Tanti spettacoli
realizzati con Claudio Abbado. Simon Boccanegra alla Scala con la regia
di Strehler, il Don Carlos. E tante produzioni firmate da Ponnelle. Ma
come dimenticarsi di Faust di Gounod a Bologna, con la regia di Ronconi
e le scene di Pizzi? E poi Nozze di Figaro, che ho cantato con la favolosa
regia di Miller e la splendida direzione di Abbado a Vienna, Ferrara,
Tokyo. Forse farei prima a elencare quei pochi allestimenti che non mi
sono piaciuti. Ma quelli tanto vale dimenticarli".
Non ha mai pensato
di fare il regista?
"Occuparmi di regia
è un progetto che accarezzo da tempo. Già qualcosa ho fatto negli ultimi
anni: Don Giovanni, Barbiere... Il mio sogno sarebbe realizzare la trilogia
mozartiana: Don Giovanni, Nozze e Così fan tutte. Ciascuna opera andrebbe
rappresentata come se fosse un continuo ricordo della precedente. Ma oggi
mi manca il tempo necessario per intraprendere questa avventura".
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