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A colloquio con il basso Ruggero Raimondi (Scarpia)
Intervista del 10 Marzo 2000 su Mediaset Online

Dal 1964 ad oggi il basso-baritono bolognese Ruggero Raimondi ha percorso una prestigiosissima carriera con una voce morbida ed estesa che, unita ad una forte presenza scenica, l'ha reso interprete memorabile di molti ruoli tra cui quello di Scarpia. Il cinema l'ha poi immortalato quale Don Giovanni di Mozart con la regia di Losey ed in teatro il suo Boris Godunov è già entrato nella storia musicale. Ma Raimondi ha saputo essere anche raffinato interprete di ruoli rossiniani come quello di Don Profondo nel Viaggio a Reims e di Don Basilio nel Barbiere di Siviglia. Una versatilità che l'ha fatto apprezzare dalle platee di tutto il mondo che l'hanno già incoronato come una delle voci più importanti del secolo.

A quante produzioni di Tosca ha già partecipato?

Ho interpretato Scarpia già quattro volte nella mia carriera, compresa l'edizione televisiva di Nelle ore e nei luoghi di Tosca accanto a Placido Domingo e Catherine Malfitano con la direzione d'orchestra di Zubin Mehta. Il mio debutto in questo ruolo è avvenuto molti anni fa sotto l'insistenza del maestro Herbert von Karajan con il quale incisi anche l'edizione discografica. Poi ho lasciato maturare il ruolo fino all'evento televisivo.

Com'è cambiata nel tempo l'interpretazione del personaggio?

Non cambia tanto l'interpretazione quanto gli impulsi a cui si è sottoposti direttamente sul palcoscenico. Il ruolo può variare negli accenti e nel comportamento scenico a seconda dei colleghi che ti stanno attorno. Perché in Tosca si tratta spesso di un gioco di sguardi e di sentimenti che arrivano improvvisi sotto la spinta della stessa partitura pucciniana.

Scarpia si fregia del titolo di Barone, anche se nel suo comportamento con Tosca lascia sicuramente da parte certi atteggiamenti di nobiltà. Qual è l'ambiguità di questo suo agire?

Scarpia gioca su due fronti: esteriormente ha uno sguardo molto signorile, mentre interiormente lotta con impulsi erotico-sessuali sadomaso che tendono ad esplodere in certi momenti. Inoltre in Scarpia esiste un intreccio tra l'uomo politico e l'uomo di Chiesa, il bigotto e l'uomo dalla sessualità contorta.

Ed è in questi momenti che il cantante rischia di lasciarsi andare ad effetti di matrice verista...

Credo che Tosca sia già un'opera d'impronta verista. Specialmente il secondo atto è già impostato come una piéce di teatro dove il cantante diventa attore.

Lei nasce come basso verdiano con uno stile di canto ben preciso. Quali sono invece le difficoltà della scrittura vocale pucciniana?

La difficoltà di questo ruolo è l'estrema tensione vocale con pochissimi momenti di cantabilità. Ed è proprio dopo le situazioni più forti e violente che viene ad insinuarsi la cantabilità. Bisogna quindi avere un'attenzione continua alla vocalità per non spingersi mai oltre e perdere il colore della propria voce. Esempi mirabili di questo controllo sono stati in passato cantanti come Tito Gobbi e Giuseppe Taddei.

Il finale del primo atto (n.d.r. il Te Deum) vede un'orchestra piena dal punto di vista sonoro introdursi sul canto. Per molti cantanti questo effetto costituisce uno scoglio insormontabile. Come ha lavorato con il maestro Daniele Gatti a questo proposito?

Sì, l'orchestra è indubbiamente pienissima in quel punto, ma deve esserlo a seconda di quello che c'è sul palcoscenico e in questo il maestro Gatti è stato molto responsabile. E' la seconda volta che lavoro con lui. Feci un Mosè di Gioachino Rossini a Roma un po' di anni fa e l'ho ritrovato oggi molto consapevole e preparato.

Da qualche tempo lei dedica sempre più spazio nel suo repertorio ai ruoli di baritono (n.d.r. Falstaff, Jago, Scarpia). E' una sua scelta o una richiesta specifica dei teatri?

Ad un certo punto della carriera ho pensato di fare dei ruoli che sono sì baritonali, ma non al cento per cento. Sono personaggi che, come Jago e Scarpia, mi hanno sempre affascinato per la loro contorta psicologia e l'estrema precisione della scrittura vocale. Mentre Falstaff è un personaggio che mi è stato in parte imposto. Lo feci per la prima volta nel 1986 e poi l'ho lasciato da parte fino a riprenderlo a Berlino, un anno e mezzo fa, con il maestro Claudio Abbado. E' un personaggio che amo molto anche se mi rendo conto che la mia lettura può sembrare sopra le righe. Perché lo immagino partecipare all'azione con espressioni comiche e al tempo stesso drammatiche. Forse propria questa è la vera forza e bellezza del personaggio.

Quali sono i suoi programmi futuri dopo questa Tosca?

Sarò impegnato in un'altra produzione di Tosca a Zurigo e poi, a marzo, in un appuntamento musicale al Teatro Regio di Torino a cui tengo moltissimo: l'Assassinio nella cattedrale di Ildebrando Pizzetti. L'opera è tratta dall'omonimo dramma di Thomas Eliot dove il mio ruolo dell'arcivescovo Thomas Becket è di una bellezza straordinaria, sia vocale che scenica.


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