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Ruggero Raimondi: 
        Profilo artistico  
        in Helena 
        Matheopoulos: Bravo 
        Milano, Garzanti, 1987, pp.264-283 
       
	  
        "Ruggero Raimondi è 'lo Saljapin italiano': il più sensibile 
          cantante-attore della professione, insieme con Placido Domingo, e il 
          solo cantante italiano maschio dotato di un talento drammatico veramente 
          eccezionale. Possiede anche una gran voce e sulla scena, con il suo 
          splendido fisico, è davvero una figura affascinante, dichiara il regista 
          Piero Faggioni, che nel corso degli anni ha allestito alcune delle produzioni 
          più ricche di fantasia interpretate da Raimondi: Faust, Boris Godunov 
          e Don Chisciotte al Teatro la Fenice di Venezia e Carmen al Festival 
          di Edimburgo, all'Opéra di Parigi e alla Scala.  
          "Ma quel che più conta, forse, ha un'anima di profondità eccezionale 
          e se, come regista, riesci a sondare quelle profondità e a cavarne tutte 
          le vibrazioni emotive di cui Raimondi è capace, i risultati possono 
          essere incredibili".  
          Non tutti i cantanti, né del resto tutti gli attori di prosa, posseggono 
          le doti necessarie per essere grandi anche sullo schermo. Raimondi sì, 
          e ha riscosso grande successo con il suo pallido, tormentato ritratto 
          del protagonista di Don Giovanni, il film dello scomparso Joseph Losey, 
          nonché per la mascolinità spavalda e un po' smargiassa che in Carmen, 
          di Francesco Rosi, ha conferito al torero Escamillo,  
          in genere un personaggio di cartone. 
          I suoi lineamenti fotogenici, la sua abilità nell'adattarsi al mezzo 
          cinematografico e all'economia della tecnica del film hanno a tal punto 
          colpito il celebre regista francese Alain Resnais che questi ha offerto 
          una parte a Raimondi nel film La vie est un roman.  
          Sulla scena o sullo schermo, le interpretazioni di Raimondi emanano 
          una potenza viscerale, un grado di identificazione con il personaggio 
          che equivale talvolta a una resa totale. Se a questo aggiungiamo una 
          voce maschia, sonora e tuttavia dalle mille sfumature, più un metro 
          e ottanta di splendido aspetto, ecco che queste qualità spiegano l'effetto 
          causato dalle sue interpretazioni e il potere quasi ipnotico che incanta 
          gran parte del pubblico femminile.  
          Specialmente in Francia e in Germania, le apparizioni di Raimondi sono 
          spesso seguite da scene di entusiasmo isterico in genere riservate ai 
          divi pop. Eppure, a sentire la ripetitrice e accompagnatrice Janine 
          Reiss, che lo ha preparato in quasi tutti i suoi ruoli francesi e che 
          regolarmente lo accompagna nei recital, Raimondi è beatamente inconsapevole 
          di possedere un così forte potere magnetico o dell'effetto che questo 
          potere può fare alle sue ammiratrici. "Dopo certi recital di Ruggero, 
          ho visto donne comportarsi come animali o come baccanti, ossia come 
          quando non sono più in grado di controllarsi, o non vogliono farlo. 
          Questa sorta di isterismo desta in lui solo uno stupore incredulo, che 
          lo spaventa e al tempo stesso lo annoia a morte". 
          Ma questa potente, magnetica presenza oggi così caratteristica di Raimondi, 
          a quanto pare non era innata. Egli stesso e diversi suoi colleghi e 
          conoscenti testimoniano che, in gioventù, era "paralizzato" da una timidezza 
          abnorme, che lo faceva arrossire tutte le volte che qualcuno gli rivolgeva 
          la parola. Il soprano Mirella Freni e il suo ex-marito, il maestro Leone 
          Magiera, ricordano d'essersi trovati, in diverse occasioni, sulla stessa 
          piattaforma di una stazione ferroviaria e d'avere scommesso tra loro 
          se il giovane Raimondi avrebbe trovato il coraggio sufficiente per rivolger 
          loro il saluto. 
          Piero Faggioni, che conobbe Raimondi ventiduenne, subito dopo che questi 
          era stato scritturato dal Teatro La Fenice nel 1964, ricorda che, ogni 
          volta che entrava in scena, il giovane sembrava impietrirsi e rimanere 
          a braccia rigide, "come un robot". 
          Un po' alla volta, grazie in larga parte all'ascendente di Faggioni, 
          cominciò infine, come spiega in seguito, "ad aprirsi, a trovare e liberare" 
          se stesso attraverso i suoi ruoli.  
          Forse per questo assicura che uno dei progetti più interessanti nei 
          quali si sia mai trovato coinvolto fu lo spettacolo televisivo fatto 
          con il coreografo Maurice Béjart e intitolato Sei arie in cerca di un 
          cantante.  
           
          Il protagonista di questo gioco ironico-surrealistico è un cantante 
          il quale cerca e trova se stesso, nonché l'amore idealizzato per una 
          donna immaginaria, che alla fine lo porterà alla morte, attraverso ciascuna 
          delle seguenti arie: la morte di Boris Godunov, il Canto del Toreador 
          di Escamillo dalla Carmen, la morte di Don Chisciotte, la Serenata di 
          Mefistofele dal Faust, il Credo di Iago dall'Otello e l'aria dello Champagne 
          e scena del Cimitero dal Don Giovanni.  
          Dopo avere lavorato in un film, Raimondi dice che gli servono alcuni 
          giorni per riadattarsi al teatro, che richiede gesti e movimenti più 
          ampi, più "amplificati". Da un lato apprezza la concentrazione, la disciplina 
          e l'estrema economia del gestire e dell'espressione richieste dal cinema, 
          però non ama affatto il modo di girare le riprese, tutto pezzi e bocconi. 
          "Provi per ore - e poi giri magari per tre secondi, durante i quali 
          devi trasmettere tutta la tensione che, sulla scena, puoi impiegare 
          tre ore a creare e a sviluppare. Le 'riprese' di solito non hanno nessun 
          rapporto con quello che hai girato in precedenza, per cui non c'è alcun 
          senso di continuità o di sviluppo della tensione. E mentre posso dire 
          che, nel complesso, la mia esperienza in fatto di cinema è stata esaltante, 
          c'è però questo risvolto che per me è seccante e traumatico". Deplora 
          che il suo incontro con Joseph Losey sia avvenuto proprio all'inizio 
          della sua carriera cinematografica, quand'era totalmente inesperto, 
          e non poteva di conseguenza cavare "il massimo" dalla collaborazione 
          con un uomo "così straordinario".  
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