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Cantare strana
professione:Incontro in amicizia fra un grande basso e un critico
severo conosciuto agli inizi della carriera
Intervista di Rodolfo Celletti in Amadeus, anno X, n.4 (101), aprile
1998
E' strano come a
volte nascano certe amicizie. La nostra - vale a dire quella tra Ruggero
e me - ebbe inizio quando, nel 1979, Karajan lo volle come Scarpia per
una Tosca da eseguire alla Deutsche Oper di Berlino, con relativa registrazione
in disco. Raimondi aveva sempre cantato da basso, fino allora, ma a Karajan
non si poteva rispondere di no. Raimondi accettò, ma, come spesso avviene
ai cantanti di rango, dopo aver accettato fu colto da dubbi e timori.
Ma chi consultò? Un critico che qualche mese prima l'aveva maltrattato
in occasione d'una recita fiorentina dei Vespri siciliani. Cioè l'infame
Celletti.
Costui al primo incontro chiese: "Come stiamo in alto?". La risposta
di Raimondi fu un la naturale acuto strabilante. Che non è nota da basso
ed è rara anche nei baritoni. Lavorammo a quella Tosca per quasi un mese,
registrando su nastro ogni giorno e ascoltando nota per nota. Così diventammo
amici. "Quanto ti debbo?", chiese. "Niente. Se pretendessi compensi
sarei scambiato per un maestro di canto. Quindi nessuno paga. In secondo
luogo credi che lavorare con un cantante come te non mi abbia insegnato
nulla?".
Altre volte ci incontrammo. Per preparare un Simon Boccanegra, per un
Don Giovanni, forse anche per altre opere, ma non ricordo bene. Non molti
anni fa Raimondi era protagonista del Mosè di Rossini al Comunale di Bologna.
Mi trovavo per caso in quella città e assistetti a una recita. Naturalmente
al termine mi incontrai con Raimondi. "Rossini ti giova", dissi.
"Mica sempre", rispose. "Piuttosto: che te ne pare del tenore?".
"Mediocre come interprete e a corto di acuti". "Perfetto",
replicò. "Ragion per cui studierà con te". "Scherzi, vero?".
"No, non scherzo affatto. Te lo chiedo per favore".
Aveva ragione lui. Per assestare quel tenore, che oggi è di casa nei maggiori
teatri del mondo, non ci volle molto. Ma questo lo racconto perché si
comprenda chi è Raimondi. Ben di rado i cantanti celebri perorano la causa
di principianti; o, se lo fanno, quasi sempre puntano su cavalli bolsi.
Non ho mai capito perché.
Ora vengo al punto. Cioè a una recente intervista a Ruggero Raimondi.
Vero che quando
studi un nuovo personaggio immagini inizialmente d'essere tu il regista?
"Non esageriamo, ma qualcosa di vero c'è. Non lo faccio di proposito.
Mi viene spontaneo."
Prima la scena
e poi il canto?
"Non in assoluto,
ma in parte sì. Lo so che per te le arie dovrebbero essere eseguite da
esseri impalati ai proscenio. O no?".
A volte sì. D'altronde
il maggior cantante mai esistito, il Farinelli, cantava fermo come un
paracarro, ma gli spettatori acclamavano. Come lo spieghi?
"Altri tempi. Prova
a farlo adesso".
Che farai da grande,
Ruggero? Il regista?
"Non mi dispiacerebbe.
Ma sono chimere".
Torniamo indietro
nel tempo, Ruggero. Chi ti ha obbligato a fare il primo recital?
"Tu, disgraziato.
Quando eri direttore artistico d'un festival. Avevo una paura del diavolo".
Ma eri già famoso
ed eri anche stato protagonista d'un film che fece chiasso e successo.
O no?
"Ricordo. Sai una
cosa? Occorrono molti anni di carriera per temprarsi e sopportare il peso
della notorietà".
Ma è veramente
un peso?
"Dipende".
Poi parlammo d'altro.
Raimondi è un buon conversatore e un uomo spiritoso, ma toccammo anche
argomenti che non riguardano il cantante e non consentono celie. Furono
tuttavia brevi parentesi. Il sorriso di Raimondi è contagioso, ma lo è
anche il senso dell'umorismo. Così raro nei cantanti d'opera. A volte,
tuttavia, il sorriso o la battuta cedono ad affermazioni perentorie.
"La mia è
una professione strana. In che consiste? Nel simulare conflitti interiori,
passioni e a volte anche malvagità, inganni, delitti. Ma cantando tutto
questo s'accentua, s'estremizza. Molto più, credo, che nei teatro di prosa.
E allora qual è il rischio? Che se ti identifichi troppo con il personaggio
cadi nel ridicolo". "E allora?", chiedo. Ride. "E allora
non ti fischiano, come invece usava un tempo. Tutto qui".
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